lunedì 8 febbraio 2010

Illusione e pentimento

Ogni sera ripercorrere la strada che porta al drive-in, ogni giorno ripercorrere la discesa fino al negozio di lei, svegliarsi, lavarsi, prendere un caffè caldo.
Robert seguiva i profumi di L.A., Robert aveva le chiavi della sua Ford in tasca ai pantaloni, il giorno il lavoro, la sera le sue donne. Aveva tante donne, le condivideva con la sua città, le prestava a Vincent, a John..
Era una persona spigliata Robert, era piacevole uscire con lui.
Conosceva Los Angeles, “posso portarti da un capo all’altro della città in un quarto d’ora”.
Era una persona diretta, brutale spesso, i suoi consigli facevano male alle donne, ma le donne se ne innamoravano ancor di più, di lui, dei suoi consigli.
Era una persona complessa Robert, era piacevole uscire con lui.
Ma le donne sono per l’uomo la ragion d’essere. A volte non c’è delusione peggiore che aprire il pugno e scoprire che la mosca che pensavamo d’aver catturato non c’è più.
Proveniva da una famiglia ricca, la vita era semplice da affrontare. Pittore, scrittore, invitato spesso a letture pubbliche di classici: amava Faulkner e Nabokov, Hemingway, Steinbeck. Aveva una voce profonda e impostata, sintomatica del suo carattere e della sua forza, un fisico agile ma potente, dei grandi occhi neri e dei capelli lunghi che tendevano ormai al grigio. Superata di poco la quarantina, il suo fascino da eterno ventenne era intatto e amplificato dall’esperienza. Era bello stare accanto a lui, infondeva sicurezza, aveva carisma, non c’era nulla di sbagliato a prendersi una libertà quando si era accanto a lui.
Robert conobbe una donna, una sera. Si chiamava Mia. Lavorava ad una specie di fast-food, uno di quei posti aperti fino a tardi la sera, dove mangi uno sporco boccone e ti scoli la peggior bottiglia di birra della città. A lui non piacevano quei salotti buoni, preferiva la goliardia di una bettola per emanciparsi da sé, un’amara pinta americana piuttosto che un flute da ricch.i Non so come ci fosse finito laggiù, forse quella sera era rimasto solo quel posto aperto per continuare a bere.
La prima volta ci capitò con tre suoi amici. La seconda lo accompagnò John. La terza e la quarta volta andò solo.
Mia aveva dei lunghi capelli neri, un corpo flessuoso come quello di una ginnasta, un culo piccolo ed un seno potente. Aveva circa trent’anni, ed era là dentro a guadagnarsi da vivere. Suo padre era morto dieci anni prima e lei aveva dovuto abbandonare gli studi per sfamare la madre e il nonno. Era orgogliosa e cocciuta. Non poté mai diventare niente, ma aveva talento in tutto: scriveva meglio di Virginia Woolf, era intelligente, espansiva senza perdere mai la femminilità che quel corpo trasudava. Una donna come se ne incontrano poche, parlare con lei era come farci l’amore.
Robert non esitò, Mia era affascinata dal carisma e dalla cultura di quell’uomo che sembrava essere tutto quello che anche lei meritava di essere.
La prima uscita insieme fu una formalità, entrambi non avevano remore a chiedere all’altro ciò che desideravano. Andarono a casa di lui e fecero l’amore due volte. Le fece fumare una fantastica erba marocchina, ascoltare i dischi di Ella Fitzgerald, dipingere due stupidi schizzi sulla sua tela.
Un giorno era il teatro ad ospitare il loro amore, un giorno la sala da ballo, un giorno la cantina del peggior bar del quartiere, non c'era posto dove non trovassero modo per star bene insieme. Robert aveva imparato ad essere alternativo in questa città, ma il suo spirito era cresciuto nella nobile borghesia della sua famiglia. Insieme, l'uno e l'altro passarono due mesi fantastici, sembrava si conoscessero da anni, dopo poco non avevano più nulla da sapere del proprio partner, ne potevano indovinare voglie, desideri, aspirazioni.
Mia non voleva abbandonare il suo lavoro, non voleva che Robert le desse una mano, voleva conquistarsi ancora per un pò da sola il vivere, per lei, per i suoi.
Robert parlava di lei agli amici come della solita storia, di una donna da scopare finchè dura, finchè non ne arriverà un'altra a colmare il suo vuoto. Mentiva a loro, mentiva a sè stesso. Ma la sua maschera, il suo personaggio era questo, e per lui con gli anni diventò sempre più importante la fedeltà al fantoccio, senza neanche rendersene conto iniziò a rovinare tutto, forte della convinzione, voglioso di dimostrare, che per lui non sarebbe cambiato nulla, che sarebbe stato lo stesso uomo, con o senza Mia, con o senza qualsiasi donna.
Mia non tardò ad accorgersi di tutto questo. L'orgoglio, l'intelligenza, la conoscenza diretta degli incubi della vita; tutto questo portò Mia non solo a farsene una ragione, ma a comportarsi con Robert come ci si comporta con un bambino, incapace di affezionarsi a qualcosa solo per la congenita aspirazione a vedere quello che c'è dopo, a non sapere apprezzare la felicità. Mia non sentì più il bisogno di sentirlo, Robert ricominciò con la sua vita, ricominciò a farsi Jennifer, Patricia, Marian.
Ma più usciva di casa, più sentiva la mancanza della sua Mia, più scopava e più pensava a lei. Cominciò a ripassare al fast-food, comiciò a ripassare con i suoi amici, ma non poteva far a meno di scherzare, continuare ad essere il centro dell'attenzione, il più bello, il più spigliato. Era sempre piacevole uscire con Robert.
Poi, nella solitudine della sua casa, la sensazione che qualcosa non andasse, l'inquietudine del proprio Io continuava a tormentarlo. Pensò di provarci con una collega di Mia, era quello che i suoi amici si aspettavano da lui; lei, bassina, bionda, molto carina, sognava ogni sera Robert, non se la poteva lasciar scappare. Ma la cosa non smosse minimamente Mia, sapeva cosa aspettarsi da un uomo tanto capace di imporsi quanto insicuro di sè.
Robert non fu più quello di una volta, Mia scordò in fretta il possibile amore della sua vita.
Ogni sera ripercorrere la strada che porta al drive-in, ogni giorno ripercorrere la discesa fino al negozio di lei, svegliarsi, lavarsi, prendere un caffè caldo.
Routine di una vita vissuta. Cerchiamo per sempre l'essenza dell'attimo più bello della nostra vita. Ammettere di aver buttato via quell'attimo è troppo, forse anche per un fantoccio...

lunedì 19 gennaio 2009

Come far soldi con il kebab

Scrivere è anche allenamento.
Ora, scrivere non è soprattutto allenamento, però è anche allenamento.
Quantomeno, se molti dicono che sai scrivere e tu non ti alleni a farlo, sei nel tuo piccolo un talento sprecato. E' come se Totti avesse scelto di non giocare a pallone ma a pallavolo.

(Io sostengo che Totti sarebbe stato un fenomeno anche a pallavolo, perchè il capitano è il capitano)

C'è molto di cui scrivere nella vita e a me piace spesso scrivere dello scrivere. Ma non dello scrivere nel senso dello scrivere la parola scrivere, ma proprio dello scrivere in quanto arte dello scrivere. Anche scrivere questa frase è solo arte dello scrivere. E lo è anche scrivere la frase dell'arte dello scrivere riferita allo scrivere di prima.

Un argomento che interessa agli italiani sono i soldi, mi è stato detto.
Oggi vi spiegherò, dall'alto della mia illuminata sapienza filosofica, come fare i soldi.
Penso possa risultare utile.

Visto che odio le generalizzazioni, vi dico che nella vita tutto funziona tuttora come se fossimo nello stato di natura, perciò bisogna sfruttare le debolezze degli altri.
Caso 1 (e più semplice): come fare soldi con una persona di stazza molto inferiore alla vostra (vedi io e Montezuma)
Sormontate il vostro avversario e menategli. Potrebbero incorrere in voi problemi etici, ma sappiate che con il tempo passa tutto. Controindicazione è piuttosto la possibilità che la cifra di denaro guadagnata non sia ingente
Caso 2 (senza controindicazioni e più sottile): sfrutta le debolezze psicologiche dell'italiano medio (io e Montezuma non valiamo in questo caso)
Mi è stata detta un'altra cosa interessante. Le persone verso cui ho attrazione sessuale sembra vengano chiamate donne. Sembra che di queste donne ce ne siano a bizzeffe. Alcune hanno comunque un pene, ma sapete com'è no, sono queste merendine di oggi. Una cosa che caratterizza le donne e l'ancor meno raro esemplare di maschiopusillanime è l'insicurezza. Persino Rensie la strega si dice soffrisse di insicurezza. Sfruttatela dannazione!
Tirate su un ufficio dove sostenete di poter guarire l'insicurezza italiana e fatevi pagare profumatamente. Con pochi e semplici consigli del tipo "credi in te stesso", "anche io prima ero così poi sono cambiato guarda come sono adesso ho aperto questo ufficio ho una famiglia felice e mangio kebab", "questo poteva essere un post serio contro la psicologia e per sostenere la mia tesi che un amico è il miglior psicologo ma quel post te lo lascio scrivere a te che hai tanta voglia così diventerai famoso e mangerai tanto kebab", "per battere l'insicurezza mangia kebab", "kebab" e simili farai un sacco di soldi e se aprirai un kebabbaro ne farai pure il doppio.

Tutto questo vi sembra inverosimile?
Beh, sappiate che qualcuno a Roma l'ha fatto davvero e ci ha fregato l'idea.

martedì 28 ottobre 2008

Never go full retard, man

Kirk Lazarus: Everybody knows you never go full retard.
Tugg Speedman: What do you mean?
Kirk Lazarus: Check it out. Dustin Hoffman: 'Rain Man,' look retarded, act retarded, not retarded. Counted toothpicks, cheated cards. Autistic, sho'. Not retarded. You know Tom Hanks, 'Forrest Gump.' Slow, yes. Retarded, maybe. Braces on his legs. But he charmed the pants off Nixon and won a ping-pong competition. That ain't retarded. Peter Sellers, "Being There." Infantile, yes. Retarded, no. You went full retard, man. Never go full retard. You don't buy that? Ask Sean Penn, 2001, "I Am Sam." Remember? Went full retard, went home empty handed...

mercoledì 8 ottobre 2008

L'armatura di uno spartano pesava venti chili

Ci sono piccole cose che richiedono un grande sforzo. Come ad esempio tagliarsi le unghie ormai lunghe. E pensare che oggi riteniamo faticosa o comunque scocciante una pratica che impallidisce di fronte alle prove a cui era chiamato uno spartano a caso duemilaquattrocento anni fa. Pensate, pare portassero, in battaglia, un’armatura pesante venti chili. Certo è che probabilmente loro non si tagliavano le unghie. Almeno, credo di no. Se non se le tagliavano nonostante la loro forza e tenacia, deve essere davvero un’impresa sovrumana.

mercoledì 10 settembre 2008

Corso di spavalderia. Lezione I

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Fujiki

tag: spavalderia, spavalderia canaglia